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10. Gli ultimi giorni in Georgia

Mtsketa

Ho ancora due giornate a disposizione e cinque ore di viaggio per raggiungere Kutaisi. Decido di approfittarne per vedere le ultime attrazioni turistiche e religiose, alcune delle più celebri del paese, in quanto si trovano per strada.

La prima tappa è Mtsketa, una cittadina famosa per le sue cattedrali molto antiche. La prima che visito è il monastero i Jvari. Si trova in un punto molto scenografico, in cima a una montagnola affacciata sulla confluenza dei fiumi Mtkvari e Aragvi. Fu costruita tra il 585 e il 604 e, per essere un edificio così antico, gran parte della struttura è in ottime condizioni. È un luogo molto potente nella sua semplicità, si avverte la spiritualità in ogni pietra e nel rumore del vento che sibila percorrendo gli spigoli della chiesa. Tuttavia si starebbe meglio senza il certo numero di turisti di ogni provenienza che grida e gioca con la neve. Lo so, mi sono disabituato al turismo dopo tre settimane dove l'unico turista ero io. Non c'è il pienone, anzi, non ci sono più di una ventina di persone, ma basta ad irritarmi.


Scendo allora a Mtsketa, una decina di chilometri più in basso, incastonata tra i due fiumi. Arrivo al centro dove c'è un grosso parcheggio a pagamento dal costo di 2 GEL al giorno, circa 70 centesimi di euro. Prima dell'entrata, un anziano signorone, con una paletta catarifrangente artigianale, mi fa segno di posteggiare la macchina in un altro piazzaletto, dove ad un albero è appeso un cartello con scritto a pennarello 2 GEL. Capisco subito e la metto dove dice lui. Ho un biglietto da 5 GEL ma non ha resto. Gli faccio segno di tenerli tutti e 5 e mi ringrazia calorosamente.

Mi incammino per visitare la cattedrale di Svetitskhoveli, una dei luoghi sacri più importanti della Georgia. La chiesa, risalente all'anno Mille, è davvero imponente. All'interno sono in corso diverse visite guidate, io decido di girarmela da solo. Il paese mi ha invece scioccato. Ogni via centrale è un negozio di souvenirs, stile Venezia, con tutti quei ricordini che mi fanno venire l'orticaria solo a guardarli. Tolto qualche artista e qualche artigiano, comprese delle signore che confezionano degli abiti da donna molto belli, il resto è trash ai miei occhi. Visito altre due chiese, entrambe molto belle. Qui non ci sono turisti, solo locali in preghiera, perciò riesco a sentire maggiormente nel mio animo la forza spirituale.

Fuori c'è vento forte e gelido, cade anche qualche fiocco di neve, trasportato da chissà dove. Tornando all'auto mi prendo l'ennesimo khachapuri al formaggio - ma perché cavolo l'ho preso al formaggio? - che fatico a finire. Trovo il mio parcheggiatore che con un'accetta stacca dei rami da una siepe e da alcuni cespugli sul bordo strada. Accanto al suo sgabello c'è un secchio metallico, all'interno del quale è acceso un fuoco. Mi saluta con un sorriso e gli chiedo se vuole un pezzo di khachapuri, non esita nemmeno un secondo ad accettare l'offerta. Glielo lascio tutto. Purtroppo ci sono molti anziani, nelle città, in situazioni simili. Lo ringrazio per il parcheggio e imbocco la valle dello Mtkvari, in direzione Gori. Si tratta del percorso più lento e più panoramico per raggiungere la cittadina. L'autostrada la prende larga e comunque volevo vedere posti nuovi. La valle è racchiusa da dolci colline steppiche battute dai venti, solo lungo il fiume e attorno ai villaggi ci sono boschi. Su alcuni versanti si notano le vigne dormienti, ricoperte di neve.

Gori

Gori è più grande di quanto mi aspettassi. Si trova praticamente al centro della Georgia. A ovest di Gori le precipitazioni sono abbondanti, a est sono rare ed è più frequente il vento. Infatti qui è l'unico posto dove ho visto pale eoliche. La città è celebre per essere la città natale di Stalin. Ebbene sì, era georgiano.

Trovo un affittacamere vicino al centro, l'hotel più bello in cui sia stato in Georgia, in quella fascia di prezzo. Quando suono al campanello, arriva ad accogliermi una signora con un bambino che avrà forse otto o dieci anni. Senza dire una parola, la signora mette le mani sulle spalle del ragazzino e con una leggera spinta gli fa cenno di parlare. In un inglese perfetto mi dà il benvenuto, mi mostra la camera - bellissima e pulitissima, con una grande cura dei dettagli! - mi spiega come usare la cucina a disposizione, il wifi, come ordinare la cena da un ristorante convenzionato. Mi chiede per che ora desidero la colazione e mi saluta con la gentilezza di un hotel 5 stelle, tutto in un inglese perfetto. Anche in altre situazioni i bambini georgiani mi hanno dimostrato di saper parlare bene l'inglese.

Dopo essermi sistemato faccio due passi in centro. C'è un bel parco cittadino proprio di fronte al museo e alla casa natale di Stalin. Praticamente la piccola e umile casa è stata racchiusa dentro una sorta di mausoleo, un tempio colonnato. Lì accanto c'è una statua del dittatore sovietico che ha uno sguardo sorprendentemente realistico e sereno. Il museo è chiuso e non è indicato alcun orario. Peccato, sarei curioso di visitarlo.


Percorro allora alcune vie per raggiungere il castello medievale su un'altura molto panoramica. Si vede tutta la città e lo sguardo si perde verso l'autoproclamata - di fatto "indipendente", e lo metto tra virgolette perché in realtà sembrerebbe essere un territorio occupato dalla Russia - Repubblica d'Ossezia del Sud. Su questo tema, come su quello dell'Abkhazia, non sono riuscito a farmi una vera opinione. La questione dei due territori indipendenti non riconosciuti da quasi la totalità degli aderenti all'ONU è assai complessa. Qui a Gori ci furono aspri combattimenti nel 2008 tra i georgiani, che attaccarono la Sud Ossezia rivendicandone la sovranità, e l'esercito russo, che era impegnato in una missione di peacekeeping ma poi si è "allargato" avanzando con mezzi e incursioni aeree fino alla capitale Tbilisi.

Ora è presente un memoriale in ricordo dei caduti proprio sotto il castello. L'unica cosa che ho capito della questione è che la suddivisione dei confini degli stati nel 1991, alla caduta dell'Unione Sovietica, ha creato molto malcontento tra le variegate etnie presenti sul Caucaso. Ad esempio metà osseti sono finiti nel territorio russo a nord, gli altri sono ricaduti in territorio georgiano a sud (insieme a una non piccola minoranza di georgiani presenti nella regione). Quello che è accaduto successivamente è una partita a scacchi tra gli interessi degli Stati Uniti - che supportavano fortemente l'ultranazionalista ex-presidente Saakashvili - e tra le mire di controllo sulla regione di Putin, che proprio nel Caucaso ha sempre trovato filo da torcere (vedi Cecenia).

La neve scende sempre più decisa e, dopo un giro al mercato contadino, mi infilo in un ristorantino e mangio delle polpette con patatine.


Uplistsikhe

Il mattino c'è una bufera di neve. Ho intenzione di visitare uno dei monumenti archeologici più importanti della Georgia: la città di Uplistsikhe. Si tratta dei resti di un insediamento completamente scavato nella roccia, risalente in alcune parti al II millennio a. C. ma che ebbe una certa importanza fino al XIV secolo, quando le incursioni mongole ne sancirono la rovina. Avendo visto, nelle mie precedenti visite in Georgia, la città nella roccia di Vardzia, questa mi lascia un po' deluso. N.B. Se andate in Georgia visitate Vardzia!

Uplistsikhe non è molto estesa, inoltre la neve copre molte delle strutture più interessanti. La visita non è facile, si scivola e ci sono raffiche di vento gelido, diversi gradi sotto zero. Per fortuna il percorso finisce con una degustazione di vini in una struttura molto carina. Non mi metto a spiegarvi l'antichissima tradizione vinicola georgiana, una delle più antiche al mondo, celebre per la fermentazione e conservazione del vino in kvevrisi ovvero in anfore d'argilla tappate e sepolte. Le ragazze addette mi parlano dei quattro vini che mi fanno assaggiare e poi - non ricordo in che modo - parte la solita invettiva contro gli occupanti della Georgia. Una ragazza è particolarmente incazzosa contro le zone occupate dai turchi e mi racconta vari aneddoti di suoi ex compagni di scuola che non potevano fare viaggi studio all'estero perché non avevano passaporto georgiano.

Arrivato al parcheggio, un anziano signore dalla sua bancarella mi invita a comprare qualcosa e ne approfitto per farmi spremere una melagrana. Il succo è favoloso. Poi insiste perché compri del vino - rigorosamente in bottiglie di plastica della coca cola, come fanno tutti gli ambulanti qui - o del miele. Quando gli chiedo il prezzo capisco che mi vuole fregare col cambio, visto che i prezzi sono folli! Vuole praticamente 15 euro per un bicchiere di succo e un vasettino piccolo di miele. Quando vede che decido di pagare solo la spremuta, al prezzo di 7 euro mi mette in mano anche una bottiglietta di sciroppo di ciliegie.

Mi siedo alla guida per percorrere le ultime tre ore di strada per raggiungere Kutaisi, prima di riconsegnare il Subaru. L'autostrada è in pessime condizioni, lievemente meglio dell'andata perché è stato chiuso il transito ai tir. Ho bisogno di fermarmi un secondo ma non è stata sgomberata la neve in nessuna piazzola per almeno una cinquantina di chilometri, quindi tengo duro e proseguo, per forza. Raggiunte le prime cittadine in pianura posso finalmente fermarmi, ma qui la neve è ancora più abbondante. Le strade sono strette perché molti rami si sono spezzati dagli alberi vicini e nessuno passa a rimuoverli. Ormai però mi sento a mio agio anche sulle strade georgiane e in qualche modo raggiungo Kutaisi.

Ora di tornare e di fare qualche considerazione

Il gentilissimo addetto della Rent4car di Kutaisi viene a ritirare la macchina direttamente all'ostello. Mi chiede com'è andata, ovviamente non gli dico che ho percorso quasi duecento chilometri in fuoristrada a Vashlovani. Soprattutto quando mi dice che la macchina era a loro era arrivata il giorno prima che la prendessi io e quindi avevo imparato certamente meglio io ad usarla.

L'ostello è molto giovanile e Dato, il ragazzo che lo gestisce, è molto disponibile. Gira costantemente incappucciato e quando ti si avvicina fa un po' di timore dall'alto dei suoi due metri, in realtà si capisce subito che è un bonaccione. Affitto una camera matrimoniale perché mi aspetta un momento delicato: la distribuzione di tutti i miei averi nei bagagli, avendo cura di non mettere oggetti vietati nel bagaglio a mano. Mi devo anche separare dalla bomboletta di gas che avevo comprato al signor David il primo giorno e la cedo a Dato, dice che troverà sicuramente chi ne avrà bisogno.

Mi concedo un ultimo giro a Kutaisi per alcuni souvenir gastronomici, poi saluto la Fontana della Colchide, da dove ogni mio viaggio in Georgia ha avuto inizio e fine. Questa è molto probabile che sarà l'ultima volta, almeno da turista. Il Mondo è troppo grande per visitare quattro volte un paese così vario, ma così piccolo. So già che mi mancherà. Mi mancheranno i paesaggi ma mi mancherà soprattutto la gente e il loro modo di vivere. Dove potrà mai capitare, in Italia, che durante ogni escursione qualcuno ti inviti a mangiare in casa insieme, pur nell'umiltà di una vita contadina quasi di sussistenza? Dove posso ritrovare questa ospitalità disinteressata, questo modo di vivere senza le pressioni delle norme e della burocrazia? Qui in Georgia ho praticamente sempre e solo mangiato i prodotti della terra delle famiglie delle guest house. Loro non sanno assolutamente il significato di sostenibilità, di "green", di biologico e tutti questi termini che da noi vanno di moda ma che poi nel concreto non significano niente. Loro di fatto sono l'espressione di quello che noi ambiremmo: un'alimentazione sana, autoprodotta o al massimo prodotta dal vicino di casa. Qualche lavoretto per arrotondare, non di certo 40 ore a settimana, se non alcuni. Paesi sperduti in montagna dove puoi incontrare ancora decine di negozietti di ogni tipo e bambini che giocano per le strade. Dove abito, Cogolo, ci sono quasi mille abitanti e fuori dalla stagione turistica è un deserto, non ci sono negozi aperti. In paesi grandi uguali in Georgia come Khulo oppure come Mestia - per fare un esempio di una località turistica - trovi decine di fruttivendoli, panettieri, minimarket, ferramenta, tassisti, mucche che girano per strada, meccanici, guest house, bancarelle, bambini e ragazzini. Ovviamente tutto ciò ha dei costi, in termini di comodità, di ricchezza, di privilegi che noi abbiamo e loro nemmeno conoscono. Qui mi fanno ridere tutte le conferenze che fanno contro lo spopolamento della montagna. Si dice che è colpa delle strade, colpa della scarsità di servizi, della mancanza di opportunità, del fatto che si è lontani dalle comodità. Ora si dà la colpa pure ai lupi. Ci posso anche scommettere che lo stesso abbandono dei paesi più remoti, nell'arco di qualche decennio, avverrà anche in Georgia. Ma intanto ho visto centinaia di villaggi che si raggiungono solo a piedi, dove i bambini vanno a scuola aprendosi la strada in un metro di neve a piedi per chilometri, dove le mucche vagano in cerca di qualcosa da mangiare, dove gli anziani fanno ore in marshrutka per raggiungere le poste o gli ambulatori o i parenti. Lo fanno e lo continuano a fare. I ragazzi che andranno a studiare a Tbilisi o Batumi forse non faranno ritorno, o forse faranno come Tornike, che invece realizza degli itinerari escursionistici per i visitatori del suo comune, che ospita turisti nella sua guest house parlando un ottimo inglese e dando buoni consigli. Ovviamente ho avuto un'esperienza parziale e non antropologica della vita georgiana. Tuttavia quel che ho visto è stato interiorizzato e su ogni novità ho riflettuto molto.

Il taxi che mi viene a prendere per portarmi all'aeroporto è sintonizzato su una radio rock. Passano gli Stone Temple Pilots, Ozzy Osbourne, gli Ac/Dc, i Nirvana. Intanto mi fa le solite domande. Il tassista dice che dimostro dieci anni di meno. Gli chiedo se ogni inverno nevichi così tanto a Kutaisi. "Saranno venticinque anni che non nevica così tanto."

So che in Italia neve non ne troverò. Che voglia di rimanere qualche altra settimana a sciare. Ma dall'altra non vedo l'ora di arrivare a Malpensa, dove verrà ad accogliermi con uno degli abbracci più belli del mondo il vero grande motivo per cui sono contento di tornare.

Spendo i miei ultimi 15 GEL in aeroporto per un panino. Ringrazio me stesso di aver scelto un posto a sedere in corrispondenza dell'uscita di emergenza dell'aereo, così riesco a dormire comodamente. Ciò vale più dei 15 euro di maggiorazione per la tariffa Priority.

Quando atterro tutto mi sembra troppo. Troppe luci, troppi prodotti da comprare, troppa gente. Troppi i due euro per i carrelli dei bagagli - ma chi cazzo ha 2€ in tasca quando atterra in un aeroporto internazionale?! - troppo il lusso dell'aeroporto. Troppo belli i taxi, troppo nuove le auto. Troppo scoglionata la tipa del bar, troppo di corsa la gente. Ci metterò molto a riadeguarmi ai ritmi europei? No, non credo. Però cercherò sempre di mantenere un po' di ritmo caucasico, magari cercherò di essere più ospitale, forse starò più attento nel lamentarmi. Probabilmente vedrò nelle montagne qualcosa di diverso da quello che vedono i georgiani. Ma cercherò un po' di Caucaso e il suo silenzio ad ogni passo. Grazie Georgia, di nuovo.

Foto di Nino Revishvili
Le ultime foto sono di Nino Revishvili

Ringrazio tutti quelli che hanno letto volentieri le mie piccole avventure e che mi hanno scritto per incoraggiarmi quando sono stato poco bene.

Sono disponibile, se può far piacere, a venire a raccontarvi con immagini e parole la mia meravigliosa esperienza.

Grazie di cuore.


Gabriele

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Gabriele Canella

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