5. Svaneti
- Gabriele Canella
- 8 feb 2023
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 4 apr 2023
La traversata
Nevicate copiose in vista, decido di trasferirmi a nord, nello Svaneti. Viste le dimensioni di questo paese, attraversarlo dall'estremo sud all'estremo nord non è così complicato. A meno che tu non debba farlo a bordo di un marshrutka. Infatti da Khulo a Mestia potrebbero volerci due o tre giorni, a seconda che tu riesca a beccare la coincidenza - se così si può chiamare - per il pullmino successivo.
Condiderando i bagagli che mi ritrovo appresso, scarto subito l'idea. Decido quindi di viaggiare fino a Batumi in pullmino e per la tratta successiva prenotare un taxi per lunghe distanze. Sarà la cosa più costosa del viaggio (al momento navigo sui 25€ mezza pensione) ma lo sbatti di caricare e scaricare bagagli, cercare un posto dove dormire, ricaricare e scaricare bagagli, mi sembra più dispendioso.
Saluto Tornike e la madre con grande commozione, mi sono proprio sentito in famiglia! Questa volta il marshrutka è un 9 posti adattato a 15, più agile ma senza bagagliaio. Con un cordino l'autista mi fissa le borse e gli sci sul tetto. Speriamo bene.
Al ritorno la strada è aperta anche dove era franato all'andata, quindi niente deviazione. Mannaggia, era quasi meglio la deviazione.
In un punto la strada sembra crollare da un momento all'altro, c'è un cantiere ma niente semafori, il pulmino procede a zigzag fra escavatori, camion, operai, massi caduti dall'alto come niente fosse. Per fortuna il punto critico è poche centinaia di metri, il resto è nella norma georgiana ovvero strada pessima e pericolosa ma con un buon autista e prudenza si può fare. Peccato che questo autista sia un pazzo furioso. Continuo a controllare che sulle curve gli sci non mi decollino e mi peggiora il mal di stomaco che ho dalla notte precedente. A un certo punto lancia la sfida ad altri due marshrutka della stessa tratta e cominciano a superarsi a vicenda per raccogliere più passeggeri possibile. L'autista sghignazza, ma fa dei sorpassi veramente azzardati. Il pulmino è pieno e gli altri passeggeri sono tra l'impassibile e il divertito.
Finalmente arriviamo a Batumi. Una città folle, triplicata in estensione in 10 anni. A Batumi, adagiata sul Mar Nero, trovi gli unici grattacieli della Georgia poche centinaia di metri dalle case tradizionali con le mucche in giardino e i mega condomini di epoca sovietica.
Qui mi aspetta Lasha, l'autista che in 6 ore circa di viaggio mi porterà a Mestia. Per fortuna è un tipo prudente e rispettoso delle regole. Non è un chiacchierone ma mi racconta molte cose interessanti. Il viaggio è bellissimo. Come varietà di paesaggi, la Georgia non ha nulla da invidiare all'Italia. Partiamo dal Mare e arriviamo in una valle con montagne di oltre 4000 metri, attraverso lagune, foreste campagne, colline, schivando maiali, mucche e cani. Il viaggio vola. Quando entriamo nella regione dello Svaneti, sembra di essere arrivati nelle valli più ripide della Val d'Aosta, ma con montagne molto più incazzate. Molto incazzate, incazzatissine. Ci si chiede per quale ragione degli esseri umani abbiano deciso di inoltrarsi qua dentro per viverci. Anche qui strada spaventosa, ma questa porta alla principale località turistica del paese. A Mestia c'è pure un aeroporto - i voli da Tbilisi e Kutaisi costano una trentina di euro - ma gli aerei decollano solo col bel tempo e bagagli piccoli.




Poco prima di Mestia la valle si fa più tranquilla, a tratti pianeggiante. Mi sistemo in una guesthouse molto economica - circa 7€ a notte - dove non è prevista cena né colazione. Di fatto è un'affittacamere con a disposizione un lavello e stoviglie.


Mestia
Mestia è il principale centro dello Svaneti. Sembra già sperduto, in realtà l'ultimo paese abitato, Ushguli, è 45 chilometri più avanti. Qui ci devono essere stati dei grandi investimenti esteri nella sistemazione di strade, edifici pubblici, servizi e costruzione di alberghi. Un po' ovunque ci sono cartelli con scritto "Finanziato dall'UE" oppure "Finanziato dal governo austriaco", "Finanziato dalla Repubblica Ceca" e così via. Infatti per molti aspetti non ha nulla da invidiare alle località turistiche italiane. Ci sono due aree con impianti di risalita moderni - ma non hanno innevamento artificiale - e attività per tutti i gusti, dalle escursioni a cavallo al freeride. Però ci abitano georgiani e quello che accade è che attorno a queste strutture moderne ci sono comunque le situazioni rurali con mucche che girano ovunque e case molto umili.


Quello che salta all'occhio sono le torri. In tutta la zona dell'alto Svaneti, decine di torri si slanciano dai villaggi. Risalgono probabilmente al periodo tra l'XI e il XIII secolo e avevano funzione difensiva oltre che di magazzino. Quello che può sorprendere è che ogni famiglia ne aveva una. Non c'era quindi un intento di difesa collettiva. Questo fa supporre che servissero a difendersi anche solo dalle altre famiglie del villaggio, da clan avversi oltre naturalmente che da briganti ed incursioni dei popoli vicini. Per un approfondimento architettonico e storico vi consiglio di leggere questo articolo dell'ambasciata italiana a Tbilisi.


Il primo giorno ne approfitto per fare un
giro a piedi nei dintorni e per visitare un'antica abitazione con torre. Riesco ad aggregarmi a un gruppo di ragazzi russi e la guida - un ragazzo molto giovane discendente della famiglia proprietaria - gentilmente spiega sia in russo che in inglese. Ora la casa museo è proprietà dello Stato, ma si occupa lui delle visite, molto interessante.
A Mestia c'ero già stato anni fa, in primavera, e tutti i cantieri che c'erano sono ancora lì fermi dove erano rimasti. Quindi capita di vedere enormi scheletri di cemento con forme bizzare che sarebbero dovuti diventare alberghi e invece sono rifugio per i cani randagi. Tuttavia in generale c'è una certa cura e anche le strade sono asfaltate meglio.


Due giorni duri ma emozionanti. Prima tappa.
Mi sveglio che ho ancora un discreto mal di stomaco ma ormai é deciso: mi sparo due o forse tre giorni a zonzo per l'alto Svaneti con gli sci. Infatti le previsioni mettono neve, ottimo per rimpinguare la poca rimasta. Pianifico un itinerario e cerco di partire più leggero possibile, so che in ogni villaggio che incontrerò ci sarà almeno una guesthouse e rinuncio a portarmi il sacco a pelo per essere agile e veloce.
La prima parte è praticamente una scialpinistica nel bosco. Dal mio alloggio alla punta del monte Zuruldi ci sono circa 1200 metri di dislivello, quasi sempre in bosco. Sul sentiero la neve non è molta, ma solo tre volte sono costretto a percorrere un tratto con gli sci in mano. Vista la pendenza, metto subito le pelli di foca integrali, sono utili anche per proteggere lo sci, che già è provato dagli ultimi anni di carenza di neve. In un'oretta arrivo a metà strada, dove dovrebbero esserci gli impianti di risalita. È accesa solamente la cabinovia che arriva in punta ed è battuta una sola traccia di gatto delle nevi, un'unica passata più nera di terra e pietre che bianca. La pista comunque è deserta. Poco più in alto, sul sentiero che sale accanto alla pista, comincio a incontrare invece sci alpinisti. Quando arrivo in cima ne conto una dozzina. Di discesisti neanche l'ombra.

Arrivato sulla sommità in circa due ore, imbocco il sentiero sulla cresta alberata che dovrò percorrere per circa 6 chilometri. Il sentiero è battuto a piedi, sprofondando in mezzo metro di neve fresca. Dopo circa un chilometro mi fermo a bere e mangiare e mi raggiunge un ragazzo a piedi che saluta e mi supera. Dopo poco lo riprendo e lo supero. Raggiungo in salita la sommità della cresta dove c'è un edificio e varie antenne. Mi fermo un attimo e mi accorgo che il ragazzo arriva, si toglie le chiavi dalla tasca e apre la porta. Gli chiedo se lavora lì. "Yes. Please, come, come!" mi invita ad entrare. Mi mostra orgogliosamente tutte le apparecchiature per trasmettere i segnali di radio e di televisione. Un po' in inglese e un po' con Google Traduttore mi spiega che lui è un guardiano, controlla che tutto funzioni e, se dovesse saltare la luce, deve correre ad accendere il generatore.


Mi mostra anche le vecchie apparecchiature sovietiche e si fa una risata. Mi invita in uno stanzino dove ci sono una branda sudicia, un mobiletto, una televisione e due sedie. Tira fuori dallo zaino delle mele minuscole e tutte ammaccate e me ne porge una. Buonissima! Dopodiché svuota lo zaino sul mobiletto: solo pane e formaggio. Mi prepara un tè e si presenta: Lasha. Lavora lì una settimana e poi due rimane a casa, ed è pagato dall'emittente privata che proprietaria delle antenne. Per quel lavoro guadagna circa 120 € al mese, il resto del tempo lo occupa tra mucche, campi e un aiuto a casa. Mi porge del pane e un pezzo di formaggio da lui prodotti. Formaggio gustosissimo ma salato. Il formaggio georgiano è molto salato. Molto molto salato. Lo ringrazio e saluto, mi sono trattenuto anche troppo e ora il tempo è peggiorato parecchio.


La neve cade copiosa accompagnata da un gran vento. Da qui in poi il sentiero è stato percorso da qualcuno con gli sci di recente, ma la bufera stava cancellando la traccia. Ad un certo punto mi trovo incastrato in un fitto labirinto di betulle e rododendri caucasici. Procedo col gps in mano, ma nonostante ciò non riesco a trovare il sentiero. In punti non c'è neve in altri un metro abbondante.

Inizio un po' ad agitarmi anche perché una pelle di foca inizia a non incollare più sulla coda. Continuo a sbagliarmi e finisco su un pendio ripido in discesa con pochissima neve. Un paio di volte gli sci mi si piantano e volo rotolando su erba e mirtilli. Dev'essere stato così che la pelle di foca si è staccata completamente. Me ne accorgo quando mi trovo costretto a togliere gli sci per passare sotto a delle betulle basse. Torno indietro a cercarla, ma niente da fare.


Il vento soffia più forte e mi ritrovo in un prato pianeggiante con tantissima neve farinosa, si sfonda fino alle palle, anche con gli sci. Affronto il resto della cresta, un saliscendi poco ripido, in queste condizioni. Inizia poi la discesa nel bosco. Non è ripida ma veloce e non mi accorgo che sotto gli alberi la neve di 20 centimetri non basta, perché troppo farinosa, e mi si piantano gli sci. Per una buona mezz'ora trovo più saggio portare gli sci in mano. Stremato, arrivo sulla strada che porta a Tsvirmi, il primo paese che incontro, e scio tra le case sperando di incontrare qualcuno. Nevica fortissimo, non vedo nulla. Dietro a una casa compare un ragazzo che spazza la neve dalla porta e gli chiedo "Guesthouse?"
Mi fa cenno con un dito: accanto alla porta di casa un cartello dice: "Nino Guesthouse".
Una notte a Tsvirmi.


Il ragazzo mi fa accomodare accanto alla stufa e mi fa appendere i vestiti al caldo. Parla solo svani e georgiano, perciò con Google Traduttore mi chiede da dove vengo e dove sono diretto. "Sulla strada ci sono molti lupi" mi mostra la traduzione sullo schermo. E che palle.
Dopo un po' arriva la madre, Nino - in georgia uno dei nomi femminili più gettonati - che con poche parole si mette a cucinare e dice al figlio di tradurre "notte e due pasti 80 GEL" ovvero poco meno di 30 euro, un po' caro per gli standard locali, ma non sono assolutamente nella condizione di mettermi a contrattare. Nino inizia subito a cucinare e prepara cibo per un esercito. Mi fa sedere a un tavolo dove c'è uno stufato di carne e cipolle - supermegabuono! - delle verdure cotte, del pane fritto, del formaggio, le immancabili pesche sciroppate e una salsa ai peperoni che non riesco a mangiare. La fame è molta e, nonostante il mal di stomaco, mangio parecchio.

Durante la cena entra in casa il marito. Un omone alto, in uniforme della polizia e mi saluta con un sorrisone. In russo chiacchieriamo un po' e mi invita sulla poltrona accanto al fuoco. Lui lavora a Iprali, un altro minuscolo paese a qualche chilometro di distanza. Al caldo sulla poltrona mi addormento, perciò mi ritiro in camera. Non sapendo del mio arrivo, in camera non era stato acceso il riscaldamento ed è freddissimo, ma sotto le coperte si sta benone. E credo avrei dormito bene se solo non mi fossero ripartite fitte allo stomaco che mi tormenteranno tutta la notte.


Seconda tappa.
Il mattino per colazione trovo 3 uova sode, del formaggio, un khachapuri intero, del pane, una zuppa di patate e peperoni. Non riesco a mangiare più di un uovo e una fetta di khachapuri. Prontamente il padre mi infila in un sacchetto uova e khachapuri rimanente e me lo porge. Ringrazio ed esco di casa. Ha fatto circa 40 centimetri di neve ma nessuno è venuto o verrà a toglierla dalla strada. Loro semplicemente continuano a passare in auto - tanto hanno tutti solo mezzi 4x4 - e la neve si schiaccia. Per me meglio, posso sciare tranquillamente sulla strada.


Ho due opzioni: fare una tappa unica da 25 chilometri oppure farne una da 10 e una da 15. Decido intanto di avviarmi e vedere il ritmo. In realtà con l'auto, sui primi chilometri di strada, non è passato nessuno, quindi sfondo un po', ma nemmeno troppo. La neve è asciutta e leggera e il paesaggio è incantevole. Gli alberi sono carichi e c'è un silenzio surreale. Quando raggiungo la strada che conduce alla stazione sciistica di Tetnuldi, sono già passate un po' d'auto. Infatti i tornanti in discesa sono uno spasso e sono veloce. Raggiungo il primo di una serie di paesi, tutti tra le torri e lo attraverso con gli sci. Le mucche sono già tutte libere, anzi stanno ruminando in piedi dopo il pasto. Su gran parte del percorso riesco a sciare sul battuto, con un bel passo alternato, tant'è che percorro i primi 10 chilometri in poco più di due ore, considerando soste e fotografie. Decido di proseguire.
Mentre percorro la strada, mi si accosta un pulmino 4x4 - la Mitsubishi Delica di importazione giapponese è il mezzo più diffuso - e si affacciano al finestrino due ragazzi visibilmente ubriachi. Mi chiedono da dove vengo e dove vado. Poi quello alla guida mi fa "why do you do this?"
Bella domanda.


Da qui in poi il giro inizia a farsi tosto, ho un po' di dislivello da fare e devo passare in un sentiero nel bosco piuttosto stretto. Come giro dietro la montagna devo aprirmi traccia in un metro di neve. La stanchezza si fa sentire, ma voglio arrivare a casa il prima possibile. Un breve tratto di sentiero molto ripido in discesa mi costringe a scendere col sedere. Non sembra mai arrivare la fine. Quando arrivo a Mestia sono contento che non puliscano le strade, posso togliere gli sci davanti alla porta della guesthouse, con le mucche che attendono di rientrare in stalla ad accogliermi.


È stata lunga ma sono contento. Ha dato completezza al senso del mio viaggio, che sarebbe dovuto essere itinerante con gli sci ma per cause climatiche non è stato possibile. Così dopo una serie di sciate di giornata, muovendomi di villaggio in villaggio, ecco anche coronato il mio desiderio di farlo in più giorni, rigorosamente con gli sci da escursionismo.


Mi manca ancora una settimana, il mal di stomaco non passa, vedrò quello che farò nei prossimi giorni.






Complimenti: sei proprio un avventuriero...e la pelle di foca? Beh, un mio collega, insegnante di lettere, ormai nel mondo dell'aldilà, sosteneva che la geografia si impara viaggiando e questo è vero, ma anche leggendo il tuo blog!
Buon proseguimento.
Ciao Gabriele..........che dire ......anche questa avventura è molto emozionante ......in bocca al lupo .......si fa per dire .
Mara
grazie ancora Gabriele del bel ....documentario ...hai fotografato per me la stazione radio/TV? grazie
buona continuazione a presto adriano