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Tra i camosci, alla ricerca di coturnici


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Non ero lì per i camosci. Mi ero svegliato alle due e mezza del mattino per svolgere il censimento primaverile della coturnice. Non è un uccello facile da vedere, al censimento dello scorso anno, nell'area campione, ne erano state contate solamente otto. La sera precedente l'ennesimo acquazzone aveva abbassato la temperatura ma né noi operatori del Parco né le Guardie Forestali ci saremmo aspettati di trovare tutto imbiancato a partire dai milleottocento metri di quota. Il censimento va svolto in aree poste tra i duemila e i duemilaquattrocento metri circa. Ogni avvistatore possiede un altoparlante dal quale emettere di tanto in tanto uno "stimolo" ovvero un richiamo registrato che ha il compito di stimolare nelle coturnici una risposta. A quel punto si fa in modo che si alzino in volo in maniera da poterle contare. Monitorare l'andamento della popolazione della fauna è importante anche per porre attenzione sulla qualità e la vivibilità degli habitat.


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Con tutta quella neve al suolo e le temperature rigide non ci aspettavamo di fare grandi avvistamenti di questo bel fasianide. Avremmo dovuto pure evitare le zone più impervie per questioni di sicurezza, perché va bene l'amore per la scienza e per la fauna, ma è più importante non farsi male. L'area che mi spettava era delimitata in basso da pietraie e una fitta copertura di ontano verde, non il miglior terreno da percorrere con un dito di neve scivolosa. Per fortuna poco più in alto si apriva la prateria e si riusciva abbastanza agevolmente ad aggirare le pietraie. Ancora prima di attivare il primo stimolo, ecco il fischio di un camoscio. Le nuvole grigie e il contrasto, nella debole luce del mattino, tra neve e roccia, sembravano la fine dell'Era dei Colori. Ma non provocava inquietudine.

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Non poteva essere facile scovare un animale immobile in quello scenario, figuriamoci un camoscio con i residui neri del manto invernale. Sentii nuovamente fischiare, stavolta era molto vicino. Niente, non riuscivo a vederlo. Il piano su cui mi trovavo mi sembrava perfetto per stimolare le coturnici. Finita la diffusione della registrazione rimasi in assoluto silenzio. Solo vento gelido. Mi incamminai verso nord percorrendo una greca per monitorare l'area nella maniera più esaustiva possibile. Improvvisamente a poche decine di metri due camosci balzarono su delle roccette spostandosi più in alto. Non fuggirono lontano, rimasero a non più di duecento metri. Continuai il mio tracciato e, dopo aver superato un dosso, mi accorsi che uno dei due mi stava seguendo, a debita distanza. Aveva dei simpatici ciuffi del lungo manto invernale sul dorso. Proseguii, girandomi solo di tanto in tanto. L'animale si fermò poco più avanti e fu raggiunto anche dall'altro. Mi controllarono qualche istante prima di correre nella direzione opposta.


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Ogni tre o quattrocento metri mi fermavo per diffondere il richiamo e rimanevo in silenzio. Dal fondovalle si alzava il tumultuoso boato delle cascate, piene d'acqua come non lo erano da tempo. Ogni volta che mi rimettevo in marcia sentivo fischi d'allarme, quasi sibili soffocati. Chi fischiava mostrava la propria silhouette nera dalle corna uncinate su uno sfondo di nuvole o di neve, che a quella quota arrivava a essere profonda anche venti centimetri. Infatti lì camminavo meglio, lo strato bianco gelato mi permetteva di poggiare saldamente la suola degli scarponi.


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Durante l'ennesimo stimolo sonoro, nella parte alta dell'area assegnatami, sul versante opposto dell'impluvio vidi correre a gran velocità un intero numeroso branco di camosci. Erano almeno quattordici femmine con un piccolo a testa, più qualche esemplare giovane. Erano stati spaventati dalla presenza del Forestale che effettuava il censimento nell'area adiacente alla mia. Era impressionante l'agilità e la rapidità dei piccoli, avranno avuto al massimo due o tre settimane di vita e già seguivano le madri su neve e roccia a gran velocità. Quella corsa in salita fece affannare i camosci tanto che qualche individuo teneva la lingua di fuori dallo sforzo. Si fermarono sopra di me, rimasi immobile così che potessero riprendere fiato.


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I camosci sono degli animali eccezionali. Cuore grande, forte e robusto, zoccoli adatti a correre su neve compatta e rocce, riflessi invidiabili. Vivono in luoghi in cui le condizioni proibitive sono la norma. Possono correre in salita e in discesa come nessun animale delle Alpi riesce a fare. Nessun pendio può fare paura a un camoscio.


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Nella parte più elevata della mia area sfondavo con la gamba fino alle ginocchia. Ogni passo sondava lo spessore e con prudenza ci caricavo sopra il mio peso. Conclusi l'ultima greca in salita senza avvistamenti di coturnice e senza aver sentito alcuna risposta agli stimoli del canto registrato. La discesa richiese un'attenzione maggiore, più mi abbassavo di quota e più percepivo la scarsità dell'aderenza dello scarpone. Con prudenza raggiunsi il sentiero e mi portai al punto di ritrovo con gli altri partecipanti al censimento. Tra viste e sentite, in totale quattro coturnici. Si ripeterà durante l'estate.


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Prima di tornare a valle osservai i rivoli scintillanti che percorrevano i versanti scuri. Erano gonfi d'acqua e gorgogliavano con vigore, come se volessero mostrarsi torrenti. Metà giugno e sentivo i brividi del freddo dopo una notte in montagna, nella neve. Il freddo però era stemperato dall'emozione di un'esperienza che ricarica le batterie dell'animo. Mentre guidavo il fuoristrada verso il fondovalle, sorridevo.



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Gabriele Canella

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